Dalla lotta partigiana alla falsificazione di documenti, all’indomani dell’armistizio del 1943 anche Maranello dà il suo fondamentale apporto alla Resistenza.
8 settembre 1943. Vicino a Maranello, presso “La Borga” di Fogliano, un grammofono suona. Tutti ballano e cantano: è un giorno di festa, è finita la guerra. O almeno, questo è ciò si pensa. Sono tutti allegri, tranne un contadino che sta in un angolo, corrucciato. Prende la parola, fa notare che no, la guerra non è finita, perché adesso il nemico è in casa. In quel momento di allegria le sue parole suonano strane, fuoriluogo. È rozzo, trasandato, che ne sa lui? Eppure, il giorno dopo i fatti gli danno ragione.
Non sono passate 24 ore dai festeggiamenti che i soldati tedeschi irrompono nelle scuole di Via Veneto, dove sono di stanza i militari italiani. Alcuni riescono a scappare dal retro: fra questi, anche Mario Ricci di Pavullo che diventerà il comandante partigiano Armando. Gli altri vengono ammassati nel cortile della Locanda Corona in Via Claudia, dove i tedeschi cominciano a sparare. Qualcuno riesce a scappare anche da lì, attraverso alcune case, grazie all’aiuto del farmacista Gastone Caselli e del barbiere Bruno Gibellini. La Resistenza è cominciata anche a Maranello.
Chi scappa raggiunge Rio Grizzaga e prende la via delle colline per unirsi alle prime formazioni partigiane. Chi resta riesce a trovare lavoro presso l’impresa edile di Riziero Soragni o presso Ferrari che, pur producendo macchine belliche, nel sottotetto della fabbrica nasconde armi per i partigiani. Nell’area di Maranello si sviluppano presto alcuni centri nevralgici per aiutare la lotta partigiana. Fra questi, Casa Chierici e Casa Cavani a Torre Maina, e la casa di Giuseppe Gagliardelli a Pozza, frequentata da partigiani “bianchi” come Luigi “Lino” Paganelli ed Ermanno “Claudio” Gorrieri.
A Maranello si fanno anche documenti falsi. I renitenti alla leva che vogliono arruolarsi fra i partigiani devono munirsi di una nuova carta d’identità. Lo Stato civile di Maranello, grazie alla “talpa” Giulio Montorsi, escogita uno stratagemma per portare la macchina fotografica a Casa Taddeo, punto di ritrovo dei renitenti, e scattare loro le fototessere necessarie. La trovata è un secchio zincato a doppio fondo in cui nascondere la macchina fotografica, trasportato dal coraggioso fotografo del paese Dante Beltrami.
La storia della Resistenza maranellese si protrae fino agli sgoccioli della guerra, contando in tutto 25 morti. La maggior parte di questi – fra cui Bruno Valentini, Luciano Manni, William Lodi e Mario Franchini – perdono la vita nella sanguinosa battaglia di Benedello del 5 novembre 1944.
Bibliografia
Silvano Soragni, “Maranello, dal Feudo Calcagnini… alla Scuderia Ferrari”, Artioli Editore, 2004
Silvano Soragni, “Maranello, 1860… da Libero Comune a laboriosa città”, Artioli Editore, 2011