Il processo per eresia di Gian Maria Tagliati, detto il Maranello

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Nel 1567 si tiene a Modena il processo per eresia del cittadino maranellese più celebre trascinato davanti all’Inquisizione: l’umanista Gian Maria Tagliati, detto il Maranello.

1 marzo 1567. A Modena, presso il Tribunale dell’Inquisizione in San Domenico, tutto è pronto per il processo dell’umanista Gian Maria Tagliati, detto “Il Maranello”. La pratica di Tagliati è vergata con due lettere, ER, che identificano l’accusa di “Eresia manifesta, convinta e pertinace”. È il quarto maranellese della storia a essere processato come eretico, e uno dei tre bollati con la siglia ER. Ma facciamo un passo indietro per capire come mai il povero “Maranello” sia finito in disgrazia.

Gian Maria Tagliati è figlio di Pietro Tagliati, possidente di terreni e case presso la Grizzaga vecchia. Fa studi di legge, diventa notaio e precettore a domicilio di rampolli della nobiltà modenese. Sempre a Modena, entra nei circoli letterari della città fra cui quello di Giovanni Grillenzoni. È un consesso all’avanguardia, il primo a introdurre a Modena l’amore per la lingua greca, dove si fanno discussioni, si leggono e si traducono i classici.

Ma siamo nel periodo della Controriforma e vige un clima sospettoso. Grillenzoni è tacciato di luteranesimo e l’attenzione sul suo circolo è massima, tanto che viene chiuso e i suoi membri trascinati a processo. Il Maranello viene “venduto” da altri “complici” sotto tortura, definito “infetto di peste luterana”. L’accusa ufficiale arriva sottoforma di una lettera infilata sotto la porta, recante le temute lettere ER.

Sapendo dell’imminente arresto da parte degli “sbirri” – come vengono chiamati nelle carte del processo -, Tagliati scappa a Maranello. Cerca protezione presso il Conte Tommaso Calcagnini, poi a San Venanzio, ma la fuga è vana. Durante il processo, che dura fino al 27 aprile, Tagliati si difende imputando le sue “devianze” a errori di gioventù. Ammette di aver sostenuto che il battesimo andasse impartito all’uomo adulto, di avere avuto libri poi inseriti nell’indice delle letture proibite, di aver creduto che l’ostia consacrata non contenesse il corpo di Cristo né che le immagini dei santi dovessero essere venerate. Ma, dice anche, sono passati 20 anni da queste sue convinzioni e non le ha mai trasmesse ai propri scolari.

Alla fine, Tagliati abiura. La sua vita è salva e gli vengono restituiti i beni confiscati. Dovrà però rimanere a pigione perpetua in luogo da assegnare, dire per un anno intero salmi e litanie in ginocchio tutti i giorni e tenere sempre una croce rossa in petto sopra gli altri vestiti. Inoltre, dovrà pagare tutte le spese processuali e una multa di 25 scudi che sarà devoluta ai poveri.

L’incubo sembra finito, ma nel 1570 Tagliati viene portato di nuovo a processo. L’obiettivo è, come si direbbe oggi, “farlo cantare” circa altri complici, poiché nella prima sessione aveva fatto pochi nomi. In un modo o nell’altro, passa anche questa seconda vicenda processuale. Quattro anni dopo, Tagliati muore nella sua casa a pigione, presso la parrocchia di San Bartolomeo di Modena. Anche nel “Libro dei Morti”, il cittadino maranellese più illustre chiamato ad affrontare l’Inquisizione viene ricordato con il nome di casa sua, dove aveva cercato protezione: “Messer Giovanni Maria Maranello.”

Bibliografia:

Silvano Soragni “Maranello. Dal Castello feudale… al Maestro Giuseppe Graziosi”, Artioli, 2007.

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