Crescentine Modenesi

Il pane tipico dell’appennino emiliano

LE ORIGINI DEL NOME: TIGELLA O CRESCENTINA? 

Tigella o crescentina? La disfida sul termine più corretto per indicare il nome di questo tipico piatto dell’appennino emiliano è tutta linguistica. Partiamo dal primo termine, tigella, che deriva dal latino tegella, diminutivo di tegula, che significava coperchio (dal verbo tegere). La tegula era proprio il nome con il quale venivano chiamati i dischi di terracotta nei quali veniva cotto l’impasto che poi veniva, appunto, ricoperto. Oggi in molti sostengono che il vero nome del prodotto sia crescentina, perché, di fatto, tigella è lo strumento e non il cibo. Il termine crescentina sembra invece derivare dalla crescita copiosa dell’impasto in fase di lievitazione. Questa parola rimanda infatti al verbo crescere e si riferisce al fatto che sin dall’origine questo piatto montanaro veniva fatto preparando una sfoglia un po’ spessa. Si tagliavano poi dei pezzetti circolari che venivano posti appunto tra le tigelle e si formavano delle pile alternando l’impasto con lo stampo. Queste pile venivano messe accanto al fuoco e a mano a mano che l’impasto cuoceva, esso cresceva di spessore.

Esistono incomprensioni note tra modenesi e bolognesi sul nome di questa pietanza, perché a Bologna intendono come tigella la crescentina da mangiare, e non lo stampo in cui si prepara. In parallelo la crescentina a Bologna città e zone limitrofe coincide con ciò che nel territorio modenese chiamiamo gnocco fritto (Leggi la ricetta tipica delle nostre rezdore). Da non confondere infine con la crescenta che altro non è che la focaccia bolognese, chiamata da molti lo gnocco. Insomma, un circolo vizioso di nomi e significati che desta scompiglio soprattutto tra i confini regionali: mentre al di fuori dell’Emilia Romagna, il termine più noto è tigella, in Emilia e soprattutto nel territorio di Modena sembra essere maggiormente in voga il termine crescentina. È Infatti proprio con questo termine che è stato registrato il prodotto nell’elenco dei PAT (Prodotto Agroalimentare Tradizionale). 

CRESCENTINE, TRA STORIA E TRADIZIONE 

Può essere banalmente indicativo considerare la crescentine come un particolare tipo di pane, originario dell’Appennino Modenese; un cibo contadino, dalle origini umili, un piatto povero, nato in campagna, da godersi dopo le dure giornate di lavoro nei campi. L’impasto è preparato con ingredienti semplici, e, come abbiamo detto, messo a cuocere sulle braci del camino la mattina presto per essere pronto all’ora di pranzo ed essere consumato appunto come sostituto del pane. Ma nella cultura popolare modenese le crescentine non rappresentano solo questo: sono il cibo dei momenti conviviali, perché sia la preparazione che il consumo prevedono momenti di condivisione, che cuochi e commensali possono trascorrere insieme. Sono un’esperienza collettiva in grado di mettere tutti d’accordo. In barba ad ogni disfida linguistica a noi, che a Maranello usiamo solo il termine crescentine, quello che interessa è soprattutto cucinarle come da tradizione, servirle intorno a un tavolo pieno di amici, di chiacchiere e calore: perché il tempo delle crescentine è un tempo lento, conviviale, per stare insieme e condividere i sapori e le tradizioni della nostra terra.

CRESCENTINE FATTE IN CASE: LA RICETTA SECONDO LE REZDORE

Ingredienti per 6 persone
1 kg Farina 0

200 ml Latte tiepido

200 ml Acqua tiepida 

Sale q.b.

1 cubetto di Lievito di birra fresco
Una noce di strutto

Il segreto delle rezdore

Per rendere più friabile la crescentina una volta cotta, aggiungere all’impasto un goccio di panna o un mestolo di brodo di carne.

Procedimento per l’impasto

Versare la farina sullo spianatoio o in una ciotola nella classica forma a fontana. Amalgamare poco alla volta il latte e l’acqua (dove precedentemente abbiamo fatto sciogliere il lievito per circa 15 minuti). Aggiungere il sale e una noce di strutto. Impastare a mano per circa dieci minuti fino ad ottenere un composto sodo e morbido. 

Lasciare lievitare l’impasto a temperatura ambiente per almeno 5 ore in un contenitore , ricoperto con uno strofinaccio umido a contatto, per non far entrare aria. Una volta raddoppiato, l’impasto va rinfrescato e manipolato per circa due minuti. 

Procedere nella preparazione formando delle palline di circa 15/20 grammi l’una. Appiattirle leggermente con il palmo della mano e lasciarle lievitare ancora per circa un’ora sempre tenendole coperte e al riparo da correnti di aria.

Cottura

Se in casa avete il camino e qualche familiare vi ha tramandato le antiche forme, allora potete davvero seguire la tradizione alla lettera: dopo aver scaldato le tigelle ponete le palline di impasto tra uno stampo e l’altro, precedute da una foglia di castagno. Armatevi di pazienza e finite la cottura coprendo con la cenere. Per una cottura più vicina ai nostri tempi potete invece utilizzare stampi per tigelle in alluminio che vanno fatti riscaldare direttamente sul fuoco, o come le nostre rezdore, due cotte in ferro tra le quali adagiare le palline d’impasto. In ogni caso sarà un successo!


Si ringraziano il Comitato Maranello Tipico e l’associazione Ortinsieme di Maranello per la preziosa disponibilità nella riproduzione dei piatti. 

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